A proposito di assicurazione auto in Italia

Se dovessimo concentrare tutti i problemi delle assicurazioni in un solo aspetto, la scelta dovrebbe cadere sul fatto che l’aspetto sociale non è mai, o quasi, preso in seria considerazione. Si parla sempre di costo finale, ma mai di “come” si arriva a quel prezzo. Eppure le due cose sono strettamente connesse.

Assicurazione Auto

Partiamo dal risarcimento che le compagnie devono pagare: dipende solo dalle normative che si applicano. E se le norme sono fatte male o, peggio, non ci sono affatto, i giudici si rifanno a caratteri più generale di equità. Corretto in linea teorica ma disastroso nel caso specifico delle assicurazioni. Qualche esempio? In Italia paghiamo per ogni caso di colpo di frusta tra i 2500 e i 4000 euro fra invalidità permanente, temporanea, spese mediche e spese riabilitative. E, fatto ancora più grave, negli ultimi anni i Tribunali hanno deciso quanto risarcire: non ci sono norme precise. Negli altri Paesi europei non è così.

Altro esempio: in Italia le compagnie risarciscono tantissimo il danno morale. Così, su una somma di un milione e mezzo per un “danno da morte”, un milione e duecento mila sono di danno morale, il resto è un risarcimento per quello patrimoniale. Non solo: nel nostro Paese vengono pagati dalle assicurazioni soprattutto i casi più tragici, i danni gravi o la morte. Ma la ripartizione dei risarcimenti stabilita dai tribunali appare discutibile perchè se muore una persona di 45 anni le tabelle dei tribunali danno lo stesso importo al genitore e al figlio. Una follia perché il figlio, dal punto di vista economico, è quello che ha avuto più danni, il papà no (è peraltro previsto che vengano sempre risarciti i fratelli della vittima, anche se hanno 80 anni e non hanno più rapporti tra loro da tantissimo tempo). Stesso discorso per i cugini che vengono risarciti con gli importi più alti d’Europa. E tutto questo, ovviamente, ricade sul costo delle polizze. Addirittura alcuni tribunali (come quello di Roma) prevedono che vengano risarciti anche zii e cugini. Discutibile anche il criterio scelto per il risarcimento delle spese di assistenza collegate a gravi invalidità: viene pagato subito tutto in un’unica soluzione, in modo scorretto, ai danni proprio delle vittime che invece andrebbero tutelate. I soldi in questi casi infatti vengono pagati subito e tutti insieme, con gravi rischi per il disabile perché a questo punto la sua dipendenza da famiglia e avvocati diventa totale. E se chi circonda la vittima – o la vittima stessa – spende subito tutti quei soldi, poi nel futuro non avrà più risorse per vivere con dignità e curare la propria malattia. Sarebbe meglio invece fare in modo che il danneggiato abbia una rendita mensile a vita. Una tutela in più sul futuro.

Come dicevamo, insomma, è un problema di legge. E, da questo punto di vista, siamo fuori da ogni parametro, fino ad arrivare all’assurdo – situazione unica al mondo – del caso dei colpi di frusta che vengono risarciti senza riscontri medici oggettivi, solo con dichiarazioni dei pazienti che ammettono di “provare dolore”.

In Italia in questo caso è facilissimo truffare le assicurazioni: basta dire semplicemente che – in caso di vero incidente – a bordo delle due vetture c’erano più persone di quelle reali ed il gioco è fatto. Un piccolo sinistro che coinvolge 8 persone così frutta alla malavita 30 mila euro.

E veniamo alle frodi. Qui l’unico argomento che tiene banco è il tema della repressione. Ma quello che conta davvero è avere normative che rendano difficile la truffa: così si combatte il fenomeno. Invece, nonostante i mille proclami legati alla lotta alla criminalità, in Italia ci troviamo ancora con una legge che dà la possibilità agli automobilisti di chiedere il risarcimento entro due anni dal sinistro. Va da se che a distanza di 24 mesi dall’incidente è praticamente impossibile per un perito andare a ricostruire una qualsiasi situazione... Questa norma così viene usata in modo strumentale proprio dai truffatori. Ma non è tutto: a favorire le frodi c’è anche il meccanismo che obbliga le compagnie a pagare senza poter vedere la macchina. Il trucco è facile: basta che il truffatore dichiari di aver messo a disposizione del perito il veicolo senza mai presentarsi all’appuntamento. I 30 giorni di legge scorrono ugualmente.

Altro esempio: il risarcimento per colpo di frusta.

E se sembra un dettaglio da poco, basti dire che i risarcimenti per colpo di frusta in Italia valgono circa il 15 per cento del totale dei risarcimenti pagati, circa 2 miliardi di euro l’anno. E che, contrastando le truffe in questo settore, in alcune regioni come Puglia e Campania le tariffe potrebbero scendere di colpo anche del 30 per cento. Il decreto sulle liberalizzazioni in questo senso ha fatto qualcosa, ma è solo un primo passo.

Il nocciolo della questione infatti è che le truffe non sono a danno delle compagnie di assicurazioni, ma degli assicurati perché le aziende che lavorano in questo settore fanno presto a ridistribuire i costi sui proprio clienti.

Per capire di cosa parliamo basti dire che oggi le compagnie risarciscono, per il 30 per cento dei casi, i danni materiali alle cose e per il 70 per cento i danni alle persone. E che solo 20 anni fa queste percentuali erano perfettamente invertite, nonostante i costi delle riparazioni delle auto fossero molto più bassi perché le auto erano meno complicate.

Quello che è aumentato in modo esponenziale in questi anni invece è stato il risarcimento: in Italia un morto “vale” almeno 800 mila euro perché il rimborso varia da 150 a 300 mila euro per ogni congiunto stretto, ossia genitori o figli, e poi c’è un importo più basso per ogni fratello. Insomma, il risarcimento dipende da quanto è ampia la famiglia.

Ma anche qui il sistema fa acqua da tutte le parti. Prendiamo ad esempio il caso degli extracomunitari. I nostri tribunali risarciscono i parenti delle vittime, residenti nel paese d’origine, con cifre non rapportate al costo della vita in quei luoghi. Il risultato è che persone senza scrupoli vanno ad esempio in Marocco, danno 10 mila euro a ogni familiare della vittima (una cifra comunque immensa lì, anche se per noi ridicola) . E loro prendono il resto, fino a un milione e mezzo.

Quindi, visto che il sistema dei risarcimenti è questo, nonostante il calo del numero dei morti, le compagnie di assicurazione – alias tutti gli assicurati – pagano molto di più per risarcimento ai familiari delle vittime.

Non solo. Va detto che spesso i giudici, quasi a voler punire le compagnie, tendono ad applicare un aumento delle somme da risarcire. Anche qui corretto dal punto di vista morale, ma scorretto da quello pratico perché a pagare non sono certo le compagnie che sono solo intermediarie: il conto finale verrà saldato dagli automobilisti con il costo delle polizze che, non va mai dimenticato, dipende sostanzialmente da quanto le compagnie pagano per i risarcimenti e da quanto costa ogni singolo sinistro.

E qui arriviamo al nocciolo del problema: in Italia abbiamo il doppio esatto dei sinistri che hanno i francesi, con risarcimenti in media più elevati. E costi stellari per i risarcimenti visto che da noi sono cinque volte più grandi rispetto a quelli d’Oltralpe. Ovvio che il nostro Paese sia una specie di Bengodi per i truffatori: da noi sfruttare le debolezze del sistema è facilissimo.

E contro le frodi, se lo Stato non riesce a fare nulla, perfino le assicurazioni (che potrebbero intervenire direttamente per difendere i propri interessi) hanno le mani legate.

Basti dire che in Italia per un contenzioso di appena 100 euro si può andare in primo grado, secondo grado e Cassazione. Una follia che blocca il lavoro delle compagnie e che alla fine porta, in alcuni casi, ad avere spese legali che superano di gran lunga quelle per il danno subito. E, ovviamente, anche questo malfunzionamento ricade sulle tasche di tutti. Così come ricade sulle spalle della collettività il “lavoro” dei truffatori. Facciamo qualche esempio. Le statistiche ci dicono che un automobilista, in media, ha un incidente ogni 12,5 anni. Quindi – soprattutto se chi guida non abita in grandi città – è facile trovare persone che non hanno mai avuto un incidente nella loro vita. Insomma, sempre secondo la statistica, avere due incidenti è raro. Tre rarissimo. Quattro improbabile. Ebbene, nel nostro Paese abbiamo automobilisti che sono stati coinvolti in più di 100 sinistri: è chiaro che sono truffatori ma, contro di loro, le società di assicurazione e le forze pubbliche non possono fare nulla.

Le compagnie inizialmente cercavano di difendersi dalle truffe non assicurando più alcune persone “sospette”. Ma sono state subito condannate per elusione all’obbligo a contrarre. E qui la multa è altissima, si va da 1 a 5 milioni di euro. Ecco quindi la soluzione escogitata dalle compagnie: alzare le tariffe per scoraggiare al massimo i potenziali clienti. E si arriva quindi all’assurdo della situazione attuale dove a Napoli una polizza RC Auto può costare il doppio di uno stipendio e dove spesso il valore della macchina è inferiore al costo dell’assicurazione. Una situazione che – a sua volta – spinge la gente a truffare le assicurazioni o, comunque, ad avere meno rimorsi morali nel caso si presenti l’opportunità (diciamo così...) di ottenere un rimborso illegittimo.

Eppure, andando a guardare i dati ufficiali del 2010, gli ultimi disponibili sulle frodi nella RCAuto, per quanto riguarda la percentuale di truffe rispetto alla totalità dei sinistri scopriamo che la Gran Bretagna è al 12 per cento, la Francia al 5 per cento, la Spagna al 4 per cento, la Germania al 7 per cento e l’Italia appena al 2,30 per cento. Siamo, dunque, un Paese virtuoso in materia di frodi assicurative? Assolutamente no, anzi. Il punto è che da noi le truffe sono... anche nelle statistiche! Per quanto possa sembrare incredibile infatti in Italia il fenomeno è largamente più ampio rispetto a quanto emerge dai dati ufficiali che, pur riportando sia i casi accertati a cui è seguita l’azione penale, sia i casi ove siano mancati gli elementi per la presentazione della querela, sono assolutamente parziali e sottostimati. Al punto che – secondo gli analisti – si stima che sul nostro mercato le frodi incidano sulle liquidazioni almeno per il 10-20 per cento sul totale. Una cifra impressionante che dimostra come da noi sia difficile anche la semplice gestione della catalogazione delle frodi assicurative. Manca, in definitiva, un efficace sistema di controllo ed analisi delle truffe a livello Paese, con la conseguenza di alimentare un circolo vizioso fatto da una legislazione sui risarcimenti molto “permissiva”, una sopportazione diffusa del comportamento antisociale di chi froda ma anche una prevalenza di altri diritti su quello delle imprese alla tutela del proprio patrimonio (privacy, riservatezza, tempestività dell’indennizzo). Senza contare che – salvo tempestivi ma ancora poco chiari interventi legislativi – siamo in totale assenza di un sistema centrale di controllo e contrasto delle frodi.

Così torniamo al famoso cane che si morde la coda, con la crescita incontrollata del premio assicurativo (perché le compagnie ovviamente “socializzano” il danno da frodi scaricandone parte dei costi sulla collettività), quindi con un calo di immagine delle compagnie e il conseguente ulteriore incentivo alle frodi assicurative. Insomma viviamo in un sistema gestito dal fratello cattivo di Robin Hood: «Rubo ai poveri (gli assicurati) per dare ai ricchi (i truffatori)».

Non è un caso che in Italia manca, al momento, un organismo (pubblico o privato) che, attraverso il pieno accesso alle statistiche e mediante l’analisi delle informazioni disponibili, individui i casi di sospetta frode e li segnali alle imprese interessate, alle Forze dell’ordine per le eventuali azioni. Addirittura l’ANIA, l’Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici disponeva di una struttura centrale antifrode e di un archivio di fondamentale utilità per l’attività di contrasto alle frodi da parte delle forze dell’ordine e delle Compagnie stesse, ma questa struttura è stata incredibilmente smantellata e tutti i dati contenuti nel data base cancellati, in ottemperanza alle norme sulla tutela dei dati personali.

In questo libro spieghiamo cosa si potrebbe fare per ridurre le frodi e, quindi, le tariffe. Un’analisi precisa che va dall’incentivo all’utilizzo di impianti satellitari per la rilevazione di dati inerenti la condotta di guida, la posizione del mezzo e l’eventuale sinistro, al rendere obbligatoria la messa a disposizione del mezzo incidentato prima del risarcimento, passando per la riduzione da 2 anni a 2 mesi del tempo per richiesta danni da incidente stradale, salvo il caso di dimostrata impossibilità. Inoltre bisognerebbe ridurre il numero dei sinistri intervenendo sulle infrastrutture.

Ma poi occorrerebbe anche rivedere criteri di risarcibilità dei danni fisici (portandoli a livello dei più importanti paesi europei): non deve essere più possibile risarcire danni che non possono essere diagnosticati in maniera oggettiva (quasi totalità dei colpi di frusta). Bisognerebbe poi limitare le spese accessorie risarcibili su micro danni fisici, bloccare i tempi per risarcimento in caso di sospetta frode ed eliminare l’attestato di rischio e il contrassegno assicurativo cartacei, sostituiti da accesso a banche dati informatiche. Sono cose semplici da fare. Ma in un Paese dove manca una vera struttura antifrode come avviene invece in tutto il resto d’Europa, c’è poco di che meravigliarsi...

La questione di fondo insomma è semplice: chi truffa le assicurazioni danneggia la collettività esattamente come fanno gli evasori fiscali. Eppure, mentre in quest’ultimo caso il reato è visto da tutti noi come un modo odioso, ripugnante e vigliacco per rubare all’assistenza sanitaria, alle scuole e ai più bisognosi, le truffe ai danni delle assicurazioni, e quindi di tutti noi automobilisti, sono tollerate, considerate “ruberie” minori. Ma finché nell’immaginario collettivo non ci sarà questo scatto di livello sui ladri delle polizze, allora il mondo delle assicurazioni avrà poche possibilità di riscattarsi.

Vincenzo Borgomeo, "Il libro nero della RcAuto"